“Dedicato alle milioni di persone morte a
causa della follia umana...dedicato a chi credeva che fosse il proprio treno a
muoversi quando invece era fermo...dedicato a tutti coloro che hanno nella loro
vita avuto un dejavu...dedicato a tutti quelli che almeno una volta hanno
desiderato rimanere bambini....dedicato a tutti quelli che si spaventano, si
divertono...siamo matti??? Forse sì.. La follia siete voi, io, o...entrambi
amplificati. Beh allora la diagnosi è fatta…. siete matti proprio come Noi”
Con queste parole
si conclude un incredibile spettacolo che coniuga la rappresentazione
teatrale con il mondo circense, in cui
si applaude ad esibizioni di grandi giocolieri ed acrobati e si ride, ma che fa
anche riflettere su temi forti come la disabilità mentale, la vita nei
manicomi, il suicidio e lo stupro.
Possiamo definirlo
un viaggio nella follia, di cui abbiamo un primo assaggio al momento
dell’accesso, presidiato da due arcigne guardie che tengono fra le mani un
manganello ispirando immediata soggezione, se non paura. Solo pochi passi e ci ritroviamo nella hall
dove incontriamo pazienti che vagano senza dar conto di vederci immersi in un
mondo tutto loro; ai lati notiamo delle celle, ci rendiamo subito conto che ci
sono rinchiusi i pazienti pericolosi….agitatissimi dalla nostra curiosa
presenza, ma non si capisce bene se siano spaventati più loro che noi.
Lo spettacolo è
ambientato negli anni Cinquanta e racconta la vita all’interno del manicomio
cattolico di Bergen, diretto dallo psichiatria Padre Josef. Il richiamo, non
troppo velato, ci riporta facilmente al campo di sterminio tedesco di Bergen-Belsen e al tristemente famoso medico nazista
Josef Mengele.
Veniamo presto coinvolte nello show dagli aspri ma esilaranti
ammonimenti del dott. Josef, colpiti poi profondamente dall’aberrazione della
violenza sessuale con cui manifesta il suo senso di onnipotenza su chi non sa e
non può difendersi, se non tagliandosi le vene in una enorme vasca trasparente al
termine di una intensa esibizione acrobatica. Ci fa sorridere poi lo
spogliarello dei malati mentali e con sollievo assistiamo al gran finale con la
ribellione dei pazienti- zombi che, guidati da un’invasata suora infermiera che
cammina a testa in giù a vari metri da terra, pongono fine a tempo di rock al dominio
dello psichiatra-padrone.
Incuriosite
dall’obiettivo di uno spettacolo dalle tinte così forti, intercettiamo il
regista Daniele Volpin che, molto semplicemente, ci spiega come avesse inteso
per mezzo dell’arte raccontare quello che è accaduto nei manicomi, coinvolgere
il pubblico e divertire. Secondo il regista, la realtà si denuncia da sola con
l’evidenza dei fatti.
Il pensiero va
immediatamente al lavoro di Franco Basaglia, che per primo ha dato voce agli
esclusi e ha lavorato perché si arrivasse a liberare i matti dalle catene,
dall’elettroshock e dall’isolamento con l’approvazione dell’omonima legge 180,
che nel 1978 ha avviato la chiusura dei manicomi dando vita ad un nuovo sistema
di servizi di salute mentale. La questione dell’imprevedibilità e della
pericolosità del malato di mente è comunque irrisolta ed è periodicamente
portata alla ribalta dell’attenzione pubblica ad ogni scadenza degli infiniti
periodici rinvii della chiusura dei manicomi giudiziari, prevista definitivamente
per il prossimo 31 Marzo. I detenuti dimissibili saranno infatti affidati ai
Centri di salute mentale regionali secondo il dettato della legge 81 del 2014, ma le persone ristrette considerate pericolose
per sé o per gli altri potrebbero non poter accedere alle residenze per
l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems), previste fin dal 2008 ma non
ancora organizzate da molte Regioni e rimanere così nei sei ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) esistenti, che
di fatto cambierebbero solo il nome.
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