Questo dovrebbe parlare dell'inserimento e dell'inclusione scolastica per ragazzi con restrizione nelle attività.
Leggendo l’articolo ho trovato alcune frasi molto discordanti con il significato di inclusione e, secondo me, il taglio che l’autrice ha dato a questo articolo è relativo a un approccio tradizionale e non inclusivo.
L'articolo parla di inserimento, partecipazione, benessere sociale, personalizzazione, apprendimento cooperativo, empowerment, senso di efficacia .. Belle parole ma che sembrano a volte ‘perdersi nel vento’ in quanto svaniscono nella visione tradizionale che ogni tanto emerge.
Ricordiamo la definizione di inclusione: “l’inclusione riguarda il vivere con, fare, decidere insieme alla persone senza disabilità e come requisito richiede la frequenza di contesti comunitari che consentono di dar vita a interazioni significative fra persone con e senza menomazione”, per mettere in evidenza alcune frasi dell’articolo che sono discordanti con questo concetto.
-Già nel titolo si parla di diversamente abili, concetto messo al bando dal WHO già nel 2004. Penso che una persona che tratti l'inclusione dovrebbe dare per scontate queste cose.
-"Creare una formazione specifica per gli insegnanti di sostegno e curricolari sulle disabilità legate alla sfera cognitiva e sociale, deficit che possono intralciare il processo di integrazione scolastica all’interno del gruppo classe."
L’insegnante di sostegno, se interviene in modo specialistico, può essere con molta probabilità una barriera all’inclusione perché non favorisce il rapporto tra pari. Inoltre la frase "deficit che possono intralciare il processo di integrazione scolastica all’interno del gruppo classe" sembra far emergere una visione tradizionale della disabilità, che si associa ad una svalutazione delle differenze, ad un parlane in modo negativo, riducendo la possibilità di stimolare atteggiamenti positivi e la propensione a potenziare le risorse individuali di ciascun ragazzo.
Il processo di inclusione richiede una marcata attenzione alle differenze, all’eterogeneità, alla personalizzazione, il considerare positivamente tutto questo e l’evitamento di forme di etichettamento. Le etichette derubano i ragazzi dalle varie opportunità di esprimersi e soprattutto di definirsi e legittimano le insegnanti o chi loro sta a fianco a comportarsi in modo diverso.
- Con “eventuale inserimento lavorativo” si dà per scontato che alcuni ce la possono fare e altri no!
Se si sposa l'inclusione dobbiamo pensare in una maniera diversa: vanno potenziate tutte le varie attività che la persona è in grado di svolgere e stimolate tante altre. Tutto questo va fatto avendo in mente obiettivi importanti per le persone, con e senza menomazione, come ad esempio il lavoro!.....senza se e senza ma!
Valentina Todeschini, studentessa, iscritta al quinto anno della magistrale in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Padova, ho frequentato il corso di Counseling psicologico per l’inclusione delle disabilità e del disagio sociale tenuto dalla professoressa Laura Nota.
Some notes on a paper in an Italian Journal on school inclusion, a project fostering school and social inclusion (“Integrazione scolastica, un progetto per favorire l’inserimento scolastico e l’inclusione sociale” Monica Pellerone)
I’ve just read the article published on “Psicologia e scuola” (Psychology
and School) journal published in January 2010 by Monica Pellerone (Sapienza
University in Roma) on inclusion for
children with activity restrictions. I have found some sentences which I find really against inclusion and I
think that eventually the resulting paper is NOT
inspired by an inclusive approach.
There are many nice words in the article but their meaning disappears because of some other statements. Inclusion is all about
living with, doing and deciding together, and requires community contexts
which let relationships between people with and without disability develop.
Let’s review some statements in the article:
The title speaks about “different abilities” and “standard-ability foreigners”,
words that were banned by WHO since 2004, which should be known by the
writer.
“We should create specific knowledge for supporting teachers about
cognitive and social disabilities, which are deficits that can ruin integration
process in the class”.
I think this is another bad statement: support teachers, if they don’t
act in a specialist way, may be a barrier to inclusion because they do not work
for improving relationships between
children.
Also the word “deficits” is bound
to a standard approach, associated with a de-evalutation of differences and a
negative speaking of them, reducing the possibility to stimulate a positive
behavior and the inclination to improve personal resources of each children.
Inclusion process requires a marked attention to differences, to
heterogeneity, to customization and avoiding labels. Labels deprive children of
possibilities to express themselves and
to define themselves; this at the same
time legitimates teachers or assistants to treat them in a different way.
By stating “ they will eventually work in the future” the author underlines that some children may get a work and some others will
not. If you really trust inclusion, then
you have to act in a different way; you
should try to catch for all the activities children are able to perform and work to improve them, or teach different
ones.
Only with important goals in mind, you can have good
chances to succeed. And there are no ifs or buts in our
commitment to it!
Valentina Todeschini, a student in Psychology
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